Il Male di Dosso

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Prima di partire per la guerra, Asimov nuotò nel fiume. “Non so quando sentirò di nuovo l’acqua togliermi il male di dosso” disse alla moglie, che teneva il bambino fra le braccia. “Stare nel fango senza sosta non si addice a un uomo”. Poi la baciò, abbracciò il piccolo e con le armi volse lo sguardo al confine.
Fu accolto nel silenzio di uomini ammassati nel fango, senza più nulla in cui sperare. Ogni sguardo assomigliava a un altro. Conobbe il suono della spada che si conficca impietosa nella carne e le grida di dolore che – sole – rompevano il silenzio.
Dimagrì, i lineamenti del volto si fecero duri come mai furono, dimenticò come si parla a un amico. Camminando fra i cadaveri, anche lui divenne morto.
Poi venne l’assedio alla città nemica: durò tre mesi, tre mesi di incessante silenzio e attesa. Il caldo estivo faceva ribollire i corpi e grondare il sudore ma le spade rimanevano immobili. Nulla cambiava. L’unica cosa che Asimov sentiva era il mare lontano e irraggiungibile, acqua ormai dimenticata. Oltre la cinta muraria, uomini come lui attendevano una fine che aveva perso ogni significato e sognavano un mare calmo su cui galleggiare senza più nessun peso da portare.
L’ultimo giorno d’estate il cielo si fece grigio e il vento smosse la ferraglia lucida. I rintocchi fra le lame ricordarono ad Asimov il suono delle campane. Piovve, d’un colpo, inondando la valle, portando lontano il fango e ripulendo visi coperti da terra e dolore. Asimov pensò al fiume, al mare, a sua moglie.
Nella notte fuggì e corse a riva, dove il rumore delle onde sulla spiaggia scrostò il silenzio dalle orecchie. Entrò in acqua fissando la luna che con i suoi raggi riflessi mostrava una via candida da percorrere per tornare a casa. In lontananza giunsero dei cavalli e, voltandosi, Asimov riconobbe gli stendardi. Coi palmi stava toccando il pelo dell’acqua quando scoprì il suono che fa un freccia conficcandosi nel cuore.
“Stare nel fango senza sosta non si addice a un uomo” pensò. Mentre galleggiava, vide la luna, sua moglie, suo figlio. La luce riflessa sull’acqua lo riportò a casa.

Giulio Canterino

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